“Miseria e Nobiltà” intervista ai curatori della mostra a Brescia

Fino al 28 Maggio 2023
Museo di Santa Giulia

a cura di Roberta D’Adda, Francesco Frangi, Alessandro Morandotti

La mostra di Brescia, aperta fino al 29 maggio, restituisce la complessità di Giacomo Ceruti, pittore degli ultimi,  ma anche ricercato ritrattista dell’aristocrazia: una figura ricca di sfaccettature, narratore di scene di povertà così come delle più raffinate tendenze dell’arte europea del XVIII secolo.

Abbiamo intervistato i curatori della mostra e del catalogo edito da Skira.8

D: L’anno di Brescia Capitale Italiana della Cultura si apre con una mostra ricca di umanità e forse controcorrente: “Miseria e Nobiltà”

R: Fondazione Brescia Musei ha voluto mettere Giacomo Ceruti al centro del primo semestre del programma espositivo di questo anno così importante, per trasmettere un messaggio per noi fondamentale: ogni discorso sui temi identitari ha valore solo nella misura in cui assume una dimensione internazionale. La storia di Ceruti è legata a doppio filo alla nostra città: qui esordisce, qui lascia la parte più nota e originale della sua produzione pittorica e da qui comincia, all’inizio del Novecento, la sua progressiva riscoperta che in poco più di cento anni lo porterà ad avere una monografica al Getty Museum di Los Angeles, grazie a un progetto di collaborazione che ci ha visti attivamente coinvolti. La Pinacoteca Tosio Martinengo, del resto, è “il museo” di Giacomo Ceruti: nelle sale della galleria cittadina sono infatti raccolti diciassette suoi capolavori. Intorno alla grande monografica abbiamo costruito un ricco palinsesto di iniziative, che vede fra l’altro una mostra dossier dedicata al rapporto tra il pittore e le stampe e un intervento di David LaChapelle. (Roberta D’Adda)

D: Chi fu Giacomo Ceruti, “Omero dei diseredati”? 

R: La vita di Ceruti fu più movimentata e ricca di esperienze di quanto si è soliti immaginare. La stagione più importante della sua carriera coincide certamente con il giovanile soggiorno bresciano, dal 1721 al 1733, durante il quale il pittore realizzò il suo capolavoro, il ciclo di Padernello, la serie di tele tema popolare, dedicata appunto anche ai ‘diseredati’, che alla mostra si può vedere riunita quasi al completo: quattordici dipinti dei sedici noti. Ma la storia di Ceruti non finisce a Brescia. Nel 1736 il pittore si trasferisce a Venezia, dove diventa uno dei pittori prediletti del maresciallo Matthias von der Schulenburg, collezionista tra i più aggiornati del tempo. Quindi poco dopo si sposta a Padova, città nella quale riceve anche prestigiose committenze religiose. Poi negli anni Quaranta inizia il lungo soggiorno milanese, in cui l’artista, oltre a cimentarsi nelle teste di carattere e nelle scene di soggetto pastorale, si afferma come il ritrattista più richiesto dalla nobiltà locale… (Francesco Frangi)

D: Quali sono i tratti che lo rendono “attuale”?

R: Chi visita la mostra può apprezzare il particolare sguardo che Ceruti riserva agli umili: oltre a essere un eccezionale pittore, Ceruti è un acuto osservatore dell’umanità. Benché le sue opere affondassero le loro radici nella tradizione della pittura di genere, il tratto che le contraddistingue è lo sguardo obiettivo e rispettoso con il quale si avvicina alla fragilità, in tutte le sue forme. Il suo modo di raccontarla è così discreto che a volte quasi non percepiamo, per esempio, i difetti fisici dei suoi personaggi. Non c’è praticamente mai, nei suoi racconti, alcuna concessione al patetismo: né quando, come per pudore, nasconde le figure sotto cumuli di stracci, a volte celandone addirittura i volti e le espressioni, né quando al contrario i loro sguardi si rivolgono a noi in modo diretto, interrogandoci. Non possiamo attribuirgli, ovviamente, una precisa volontà di denuncia sociale, ma dobbiamo certo riconoscergli la capacità di raccontare la realtà in termini “moderni”. (Roberta D’Adda)

D: Ceruti, un pittore ricco di “brescianità” ma anche dal respiro internazionale: cosa si legge nelle tele di Ceruti?

R: La pittura di Ceruti affonda le sue radici nella tradizione del naturalismo lombardo. Lo dimostrano i suoi ritratti giovanili, che nella capacità di restituire la verità umana dei personaggi trovano un precedente fondamentale nelle opere dei grandi ‘pittori della realtà’ di quella regione, da Giovan Battista Moroni a Fra’ Galgario. A partire dal suo soggiorno in Veneto la sua cultura figurativa, tuttavia, si fa più variegata. Ceruti dialoga con i maggiori maestri della pittura lagunare, da Piazzetta a Pittoni. La sua tavolozza diventa preziosa e i suoi ritratti assumono un carattere elegante, a volte perfino teatrale, in linea con le tendenze della contemporanea pittura di corte internazionale. La capacità dell’artista di rinnovarsi costantemente è davvero sorprendente. (Francesco Frangi)

Ceruti, pittore degli ultimi ma anche ricco di brescianità

D: Riscoprire Ceruti a distanza di 36 anni dalla prima e unica mostra a lui dedicata: cosa è cambiato
da allora?

R: La mostra del 1987 sembrava in qualche modo irripetibile, per l’importanza dei prestiti e per la conoscenza dell’opera del pittore, di cui si cominciava a capire l’estro creativo e l’aggiornamento costante anche quando si allontana dai soggetti che certamente lo rendono unico nella storia della pittura europea del Settecento, vale a dire le scene di vita popolare. Da quel momento gli studi hanno precisato il contesto in cui matura la sensibilità di Ceruti per i soggetti pauperistici mettendo a fuoco personalità artistiche poco note o sconosciute, precedenti e compagni di strada di cui la mostra di oggi dà conto per la prima volta in modo significativo. Con riscoperte notevoli. (Alessandro Morandotti)

D: Qual è stato il lavoro di ricerca dietro la curatela di questa mostra?

R: La preparazione della mostra ci ha impegnati per circa quattro anni ed è maturata in modo consapevole. Volevamo evitare di ripresentare una selezione strettamente monografica come nella mostra del 1987, offrendo uno sguardo di contesto in ognuna delle sette sezioni in cui è ordinata la mostra. Il nostro lavoro è stato spesso nel segno della continuità con gli studi pionieristici di Roberto Longhi e della sua scuola (con Giovanni Testori e Mina Gregori in prima linea), pur nella necessaria attività di revisione, accrescimento e cura del catalogo della sua produzione autografa, corpus troppo spesso ‘contaminato’ da prove pittoriche lontane dalla qualità artistica dell’autore. (Alessandro Morandotti)

D: Un consiglio ai visitatori: come approcciarsi a questo pittore?

R: Attingendo a categorie che solo in parte appartengono alla storia dell’arte, ricorrerei innanzitutto alla parola stupore. È quasi inevitabile non restare stupiti dalla sua straordinaria abilità pittorica, che spazia dal virtuosismo (soprattutto nella realistica descrizione di stracci, strappi, toppe e tessuti poveri) a una capacità di sintesi che preannuncia esiti Ottocenteschi. E poi richiamerei una chiave di lettura proposta da Mina Gregori, per la quale Ceruti è da considerare il pittore più avventuroso del Settecento italiano: capace di affrontare generi e linguaggi molto vari, dalla natura morta alla scena di interno, dalla testa di carattere al ritratto aristocratico. Sempre cercando convintamente la propria cifra e sempre tenendo aperto il dialogo con i suoi contemporanei, anche i più illustri. In questo senso non va trascurato il continuo gioco di rimandi e confronti che attraversa tutto il percorso espositivo e che proietta l’opera di Ceruti in una dimensione europea. (Roberta D’Adda)



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