mostra a cura di Paolo Biscottini con Paolo Campiglio e Giorgio Pajetta Un omaggio a un protagonista dell’arte milanese, interessantissimo interprete del Novecento e delle sue rivoluzioni estetiche
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Questo volume risponde all’esigenza di ripercorrere la storia di un artista dalle origini alla morte. Suddivisa per ambiti tematici, la monografia pone attenzione tanto ai rapporti di Pajetta con l’ambito artistico milanese, legato a Novecento e soprattutto a Sironi, quanto al suo successivo desiderio di entrare in rapporto con la produzione europea e in particolar modo francese, con specifico interesse per il cubismo e il surrealismo. È proprio in questo ambito che Pajetta sviluppa una specifica attenzione per un realismo di marca introspettiva che lo accompagnerà nel tempo, facilitato da uno stile corsivo e antimimetico, cui certamente giova l’adozione del colore acrilico a partire dal 1967. Pajetta pare sempre più impegnato nella ricerca di una verità recondita e forse anche di una nuova coscienza di sé. Affiora il senso di un’angosciosa solitudine, cui non pone rimedio né il successo di critica e di mercato né la tenacia nel lavoro o la vasta cultura letteraria. Tormentato dalle sue ossessioni, si affida all’immagine come a una sorta di travestimento o di alter ego. Nato in una famiglia di artisti, Guido Pajetta (1898-1987) si è formato a Brera e a Milano ha vissuto tutte le tappe della propria carriera. Fortemente legato alla pittura veneta, di cui si è sempre considerato erede, ha sperimentato a Milano l’incontro con la contemporaneità europea, da Sironi ai Fauves, dal Cubismo all’Espressionismo. Milano è stata per lui lo scenario eletto per la costruzione di rapporti personali con i maggiori artisti del suo tempo. È stato celebrato negli ultimi decenni con mostre di assoluto livello scientifico: dalla Biennale di Venezia alla Permanente di Milano alla Pinacoteca Ambrosiana.
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